Un team di ricercatori dell’Ingv e delle università di Catania e Ferrara ha rivisitato i dati dell’eruzione dell’Etna del 28 Dicembre 2014, aprendo la strada a nuovi modelli interpretativi dell’attività eruttiva sia del vulcano siciliano sia dei vulcani basaltici in generale. Lo studio è stato pubblicato su Scientific Reports di Nature. L’attività eruttiva all’Etna può manifestarsi anche senza l’arrivo di magma dal profondo, ma solo per effetto del continuo flusso di gas che surriscalda le rocce della parte apicale dell’edificio vulcanico. Ad arrivare a queste conclusioni, uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Osservatorio Etneo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV-OE), in collaborazione con le Università di Catania e Ferrara. “In questo lavoro, l’attività eruttiva dell’Etna”, evidenzia Mario Mattia, ricercatore dell’INGV-OE, “viene analizzata partendo dallo studio dell’eruzione del 28 Dicembre 2014, che aveva provocato un collasso di parte del Cratere di Sud-Est e un successivo richiamo di magma per effetto della conseguente decompressione. Da qui l’analogia del vulcano siciliano con quelli esplosivi, caratterizzati da duomi lavici semi-solidi che, collassando, causano violente esplosioni”.