Valutare l’energia rilasciata dalla propagazione delle fessure eruttive per poi mettere in relazione, grazie a un ampio set di modelli eruttivi (nel caso dell’Etna a partire dall’eruzione 1981), questa energia con quella sismica rilasciata attraverso i numerosi eventi che hanno accompagnato le intrusioni di magma. Sono i risultati del lavoro condotto da un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) della sede di Catania, in collaborazione con il GeoForschungsZentrum (GFZ) di Potsdam, Germania e l’Earthquake Research Center dell’Università di Tokyo. Lo studio, dal titolo “Dike propagation energy balance from deformation and seisimic release” è stato recentemente pubblicato su Geophysical Research Letters dell’American Geophysical Union. “Il magma – spiega Alessandro Bonaccorso, dirigente di ricerca INGV – viene trasportato nella crosta tramite intrusioni, anche note come dicchi, che nella loro risalita fendono le rocce incassanti sino a raggiungere la superficie terrestre, per dare vita alle eruzioni. La propagazione dei dicchi provoca non solo deformazioni, ma anche notevole rilascio sismico, entrambi misurabili attraverso le reti geofisiche di monitoraggio permanente”. Nelle aree vulcaniche, i dicchi possono risalire dal profondo verso la superficie e. infine, muoversi attraverso propagazione laterale, in questo caso alimentando pericolose eruzioni sui fianchi del vulcano. In generale i rischi associati a un dicco eruttivo crescono all’aumentare della sua lunghezza laterale di propagazione. Più è lunga la sua propagazione, maggiore è il rischio in quanto l’intrusione può raggiungere punti di emissione lavica più prossimi ai centri abitati e alle infrastrutture umane.