Beppe Alfano aveva il fiuto del cronista di razza, ma non era neanche giornalista pubblicista (lo divento’ solo dopo la sua morte, come Giovanni Spampinato, Peppino Impastato e Mauro Rostagno) quando, l’otto gennaio di 24 anni fa, cadde sotto i colpi di pistola di un killer di Cosa Nostra a Barcellona Pozzo di Gotto (Messina). Aveva 42 anni e scriveva sui giornali locali di mafia, politica, intrecci fra comitati d’affari e massoneria, speculazioni sui fondi europei.
Alfano aveva da poco iniziato un’inchiesta giornalistica che riguardava un traffico internazionale di armi, passando dalla “sua” Messina. Ma la sua “colpa” maggiore, fu quella di aver contribuito alla cattura del boss catanese Nitto Santapaola.
“Non e’ piu’ tollerabile che Barcellona debba sottostare alla legge del terrore imposta da esseri socialmente pericolosi. Il tutto mentre le istituzioni politiche di peso stanno a guardare; alcuni partiti sono piu’ latitanti che mai”, aveva scritto Alfano, che si domandava: “Quali iniziative ‘forti’ i due politici di razza barcellonese hanno intrapreso negli ultimi anni presso il ministro degli Interni affinche’, una volta per tutte, anche i barcellonesi possano finalmente iniziare a vivere tranquilli?”. Domande rimaste senza risposta, come quelle relative ai veri responsabili della sua morte. Sull’omicidio di Beppe Alfano e’ stato celebrato un lungo processo che condanno’ un boss locale, Giuseppe Gullotti, all’ergastolo come mandante. Resta ignoto il contesto da cui scaturi’ l’ordine di morte: 24 anni senza verita’ e senza giustizia.