La Brexit va. Almeno alla Camera dei Comuni, dove si è chiusa oggi la pratica della Legge di Notifica del Ritiro dall’Ue (European Union Notification of Withdrawal Bill), premessa dell’avvio formale del negoziato di divorzio da Bruxelles che la premier Theresa May vuole far scattare a marzo invocando l’Articolo 50 del Trattato di Lisbona. Per il governo conservatore britannico, orientato verso un taglio netto con il Club dei 28 – mercato unico incluso -, e’ stato un passaggio decisivo: schivati anche gli emendamenti più insidiosi, esso si è visto infatti confermare in terza e ultima lettura uno schiacciante voto favorevole (494 a 122) allo scarno testo presentato in aula per ottenere un via libera senza paletti. Le defezioni in casa Tory non sono aumentate. Mentre i mal di pancia, se non le divisioni, del Labour si sono allargati a figure di spessore della sinistra interna come i ministri ombra Clive Lewis e Diane Abbott, recalcitranti come qualche decina di compagni alla linea di non ostruzionismo ordinata dal leader Jeremy Corbyn in nome del rispetto della volonta’ popolare espressa nel referendum del 23 giugno 2016. Tanto più dopo la bocciatura di tutti gli emendamenti messi sul tavolo dalle opposizioni per cercare almeno di limare il testo: ultimo quello che mirava a fissare per iscritto a priori gli impegni del governo a tutelare anche in futuro i cittadini Ue residenti nel Paese. In ogni modo il risultato finale (al netto dei ‘no’ degli scozzesi dell’Snp, pronti a rilanciare a parole la sfida della secessione, e dello sparuto drappello Libdem) non e’ mutato: la maggioranza ha tenuto e la May può andare avanti. Ora la palla passa alla House of Lords, la Camera dei non eletti, al cui interno la Brexit non e’ sicuramente popolare. Ma in caso di modifiche inserite nell’ingranaggio dai pari del Regno la parola dovrà tornare alla Camera bassa. Dove i giochi, alla luce dei numeri di questi giorni, sembrano fatti.