Il “reshoring” di Benetton, aziende controtendenza

Il “reshoring” di Benetton, aziende controtendenza

Reshoring — È nota la tendenza delle aziende nei paesi più sviluppati di esportare la produzione verso lidi esteri dai costi più bassi. Conosciuta come “ofshoring”, si tratta di uno dei fenomeni più controversi legati alla globalizzazione. Ora, ci sono segni che il pendolo, avendo raggiunto il punto più estremo, abbia iniziato la corsa di ritorno. Il processo—inevitabilmente conosciuto come “reshoring”, essendo lo shore (“bagnasciuga”) il “lido” oltre al quale si trova l’estero—è dovuto solo in piccola parte all’evoluzione dei costi della manodopera a livello internazionale. I giornali negli ultimi tempi hanno citato il caso della Apple e della sua decisione di riportare elementi della produzione–a partire dall’orologio “Apple Watch”—dalla Cina negli Stati Uniti. Uno dei casi più interessanti però riguarda l’Italia e il Gruppo Benetton. L’azienda trevigiana ha recentemente annunciato, senza enfasi, che ha riportato una parte—modesta, ma significativa—della sua produzione più qualificata di maglieria in Italia dai Balcani. Un intero reparto, dedicato alla lavorazione, particolarmente sofisticata, della maglieria “seamless” (senza cuciture) è stato trasferito dalla precedente sede croata a Castrette (TV), un sito industriale e polo logistico dell’azienda. Il Chief Operating Ofcer di Benetton, Lorenzo Dovesi, spiega con cura che la mossa non deve essere considerata l’inizio di un ritorno generalizzato della fabbricazione in Italia—”L’Italia non è, e non potrà essere, competitiva sui prodotti semplici, come le T-shirt… Non è attuabile e sarebbe antistorico”—ma che nasce soprattutto dall’esigenza di velocizzare lo sviluppo dei capi da una parte e di garantire la qualità della produzione “alta” dell’azienda dall’altra. “I telai digitali che usiamo per questa produzione sono degli strumenti estremamente sofisticati e proprio per questo non semplicissimi da impiegare. È molto utile che i nostri designer possano trasmettere le concettualizzazioni dai loro terminali e poi attraversare il corridoio per andare a vedere immediatamente come viene l’idea ‘dal vivo’. Libera la creatività e evita le lungaggini dei ritorni sull’esito”. L’integrazione della nuova produzione nel centro logistico dell’azienda permette inoltre di accorciare ulteriormente i tempi tra l’ideazione e la messa in commercio. Per il resto, dice Dovesi: “Si tratta di un progetto funzionale alle nostre strategie. Volevamo inserire in negozio un prodotto che potesse distinguersi, un’esclusiva, e dare conseguentemente un messaggio forte al consumatore. Da qui la necessità di implementare la produzione seamless, 100% made in Italy e di alto livello qualitativo”. Così, comincia a tornare la produzione nei paesi “ricchi”, non per abbandonare quelli meno sviluppati al loro destino, ma per meglio concentrarsi sulla parte alta del mercato, sui prodotti più sofisticati dove l’Occidente aggiunge valore attraverso la sua creatività e la sofisticazione dei suoi processi produttivi. Il valore alto di quanto viene confezionato o fabbricato fa sì che il costo della generica “manodopera” incida in maniera sempre più marginale sul prezzo finale al consumatore. Rende, in altre parole, il semplice prezzo del lavoro un fattore meno sensibile. La globalizzazione ha generato ricchezza in molti dei paesi che ha toccato, ma ha anche fatto danni. Il reshoring “intelligente”—che non è più la ricerca brutale della massima economia possibile—è una netta indicazione che è in corso la maturazione del fenomeno. La turbolenza della trasformazione economica globale comincia a riequilibrarsi a favore di una divisione dei compiti che lascia ai paesi in causa i ruoli più confacenti.