LEGGE ELETTORALE

La Consulta ‘chiama’ le Camere, pesa il dibattito interno al Pd

La Consulta 'chiama' le Camere, pesa il dibattito interno al Pd

Nel giorno in cui la Camera avvia ufficialmente l’iter della legge elettorale, la Corte costituzionale pubblica le motivazioni della sentenza con cui ha bocciato il ballottaggio dell’Italicum. Motivazioni nelle quali i giudici esortano il Parlamento a rendere omogenee le leggi di Camera e Senato, come già aveva fatto il presidente Sergio Mattarella, ma anche il presidente della Commissione Affari costituzionali e relatore, Andrea Mazziotti.

Se le parole della Corte portano indicazioni utili alle Camere, un elemento di freno e confusione giunge dal confronto interno al Pd: un eventuale congresso anticipato porterebbe al congelamento della legge elettorale fino alla scelta del nuovo segretario e della sua linea politica.

Ieri la Commissione Affari costituzionali ha avviato l’esame delle 18 proposte di legge elettorale finora depositate. Il presidente e relatore, Mazziotti, le ha illustrate facendo una premessa che ha riecheggiato il monito del presidente Sergio Mattarella: il sistema che la Corte consegna, con le due sentenze del 2014 e dello scorso 25 gennaio, anche se è applicabile, “non e’ omogeneo tra le due Camere, poco coerente nei suoi principi fondamentali, inidoneo a salvaguardare l’obiettivo della stabilita’ dei governi”.

Insomma guai ad andare a votare con i due sistemi usciti dalle due sentenza; un monito rafforzato dalla Corte Costituzionale nelle sue motivazioni. Per altro la tentazione del voto a giugno senza una nuova legge elettorale sembra stato scartato anche da Matteo Renzi e da M5s che ne erano stati gli alfieri.

Ma la Consulta ha chiarito anche un aspetto importante del ballottaggio, da lei bocciato nell’Italicum: così come era stato congegnato “è lesivo” del principio di rappresentanza, perché non pone una soglia minima per accedere al secondo turno. Questo significa che sistemi con un doppio turno sono teoricamente ancora in campo, anche se andrebbero articolati diversamente.

Ma con l’attuale bicameralismo sono tecnicamente difficili da realizzare.

In ogni caso già martedì la Commissione Affari costituzionali deciderà il calendario della legge elettorale, con Danilo Toninelli di M5s, che sollecita un “cronoprogramma” che garantisca l’approdo in Aula il 27 febbraio.

A ingarbugliare tutto è però il dibattito interno al Pd, che terrà la propria Direzione lunedì, alle quale si attende una parola di Matteo Renzi in risposta alla minoranza. Questa ha condizionato il proprio assenso alla legge elettorale alla tenuta del Congresso del Partito e al proseguimento della legislatura fino alla sua scadenza, febbraio 2018.

I renziani hanno cominciato a chiedere l’anticipo del congresso in modo da concluderlo con le primarie entro luglio. Percorso su cui frenano i bersaniani. Se dunque lunedì Renzi avviasse le procedure congressuali, è difficile pensare che il Pd abbia una posizione unitaria sulla legge elettorale prima che dalle primarie esca il segretario e la sua linea. La legge elettorale procederebbe alla Camera con calma, con audizioni di esperti e approfonditi dibattiti, ma la sua definizione slitterebbe. Invece un accordo in extremis tra Renzi e la minoranza, oggi difficile da prevedere, aprirebbe le porte ad un iter più rapido, verso una legge con premio alla coalizione anziché alla lista, un sistema che piace agli alleati del Pd e anche a Fi.