Secondo il governo si tratta solo di tensioni alimentate da “agenti stranieri che vogliono minare l’unita’ e la stabilita’ dello Stato”, ma i profughi raccontano una storia fatta di pulizia etnica: stupri, uccisioni, innocenti in fuga. Fino all’immagine del piccolo Mohamed, 18 mesi, annegato nel tentativo di raggiungere la salvezza. Adesso e’ il simbolo della sofferenza dei Rohingya, la minoranza musulmana di Myanmar, la vecchia Birmania. Tutto sotto gli occhi di una donna, Aung San Suu Kyi, giunta alla guida del suo paese dopo anni di esilio e confino interno e l’assegnazione di un premio Nobel per la Pace.
MIGLIAIA DI MORTI DALLO SCORSO OTTOBRE. Impossibile fare una conta delle vittime, ma di sicuro la dura repressione decisa a Myanmar contro la minoranza musulmana dei Rohingya e’ la piu’ violenta degli ultimi anni, gia’ segnati dalle pesanti discriminazioni volute dalle giunte militari che tenevano il paese sotto il proprio tallone. Secondo le testimonianze dei profughi che sono riusciti a fuggire oltre confine, i militari giungono nei villaggi a notte fonda, dividono gli uomini dalle donne e violentano ripetutamente queste mentre uccidono i loro familiari. Viene riferito di villaggi in cui la meta’ della popolazione e’ stata letteralmente sterminata, ed ogni volta sono centinaia e centinaia le vittime. Lo scopo non dichiarato, e’ l’accusa delle organizzazioni per il rispetto dei diritti umani, e’ quello di liberare lo stato nordoccidentale del Rakhine dall’ingombrante presenza di questa comunita’ musulmana. Minoranza rispetto al resto della Birmania che e’ quasi totalmente buddista.
Gli attacchi vengono spesso lanciati con l’aiuto di elicotteri, che mitragliano dall’alto le capanne mentre la gente e’ nel sonno. Poi arrivano gli uomini dell’esercito ed inizia una vera e propria mattanza. Alla fine la terra e’ cosparsa di cadaveri e resti di abitazioni bruciate. Per chi sopravvive non c’e’ alternativa a cercare riparo in Bangladesh.