MAFIA

Oltre 23 mila i beni confiscati, 11mila restituiti a collettività

Oltre 23 mila i beni confiscati, 11mila restituiti a collettività

Sono oltre 23 mila i beni confiscati alle mafie in Italia. Un numero gia’ impressionanente, che sale a quota 27 mila se si considerano anche i beni sequestrati e temporaneamente sotto la gestione dell’Agenzia nazionale. I dati, aggiornati al 31 dicembre 2015, si possono leggere sul sito www.confiscatibene.it e raccontano quanto si sia arricchita la criminalita’ organizzata dal 1982 ad oggi e quanto lo Stato sia riuscito a contrastarla sottraendole patrimoni. La confisca dei beni – sottolinea il sito – e’ lo strumento piu’ potente di cui dispone l’Italia per combattere le mafie. Tra i beni sequestrati e confiscati ci sono ville, cascine, castelli, alberghi, cliniche, supermercati e stabilimenti balneari. Di questi 11mila sono stati riconsegnati alla comunita’. La maggioranza dei beni confiscati si trova in Sicilia, dove ne ricadono 8.861 beni confiscati; a seguire la Campania, con 3.430 unita’ e la Calabria, con 3.073 unita’. Seguono il Lazio e la Lombardia, rispettivamente con 1.835 e 1.706 confische. In coda il Molise, con solo 5 confische.
Dei 27 mila beni confiscati e sequestrati alle mafie, soltanto 11 mila sono stati restituiti alla comunita’ e non tutti impiegati al meglio. Si tratta di un patrimonio dal valore ingentissimo, che pero’ rischia di deteriorarsi. A questo proposito il Gruppo L’Espresso a giugno scorso ha lanciato il progetto ‘Riprendiamoli’, dando notizie sulle confische e denunciando i casi piu’ eclatanti di abbandono o di cattiva gestione. Ad esempio, si legge sul sito www.confiscatibene.it sul terreno sequestrato nel 1999 al boss Matteo Messina Denaro – il nuovo capo di Cosa Nostra in Sicilia, ricercato numero uno dalla polizia italiana – doveva nascere un campo di calcio. Ma ancora nulla e’ stato fatto. Il palazzo storico confiscato alla camorra, dove dormi’ Giuseppe Garibaldi e dove nel 1860 venne firmata la resa di Capua, da venti anni sta andando in rovina. La pizzeria di un boss della ‘ndrangheta infiltrato a Lecco, nel cuore produttivo del Nord Italia, e’ chiusa da 24 anni.
Ci sono altre decine di storie simili: nonostante gli sforzi, lo Stato non riesce a gestire tutta la ricchezza – frutto di attivita’ illegali – che negli anni e’ stata sottratta alla criminalita’ organizzata. E’ una sconfitta, 34 anni dopo la prima legge che porta il nome di Pio La Torre, politico siciliano dirigente del Partito comunista, assassinato dalla mafia il 30 aprile del 1982 a Palermo assieme al suo collaboratore Rosario Di Salvo, per il suo impegno per la riconquista dei patrimoni dei boss. Vent’anni fa, nel 1996, una seconda legge – chiesta da un milione di italiani e promossa dall’associazione Libera – stabili’ le regole sul riuso sociale dei beni confiscati. E grazie a questa mobilitazione ci sono anche storie di riscatto e buoni esempi di riutilizzo virtuoso. In Calabria, a Goia Tauro, i migranti strappati al caporalato ora lavorano nel campo confiscato ai clan. I lavoratori del Grand Hotel Gianicolo a Roma dopo il sequestro dell’albergo sono stati finalmente messi in regola. I beni confiscati vengono ‘destinati’ generalmente agli Enti Locali, ai Ministeri, alle forze dell’ordine per fini istituzionali, sociali o di emergenza abitativa. I beni sequestrati, invece, vengono dati ‘in gestione’ all’Agenzia nazionale, in attesa del verdetto definitivo.