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Palermo, estorsioni e furti: polizia sgomina gang

Palermo, estorsioni e furti: polizia sgomina gang

Operazione della polizia di Palermo, coordinata dalla Procura della Repubblica di Palermo Direzione distrettuale antimafia, volta a disarticolare una pericolosa organizzazione criminale dedita alle estorsioni, perpetrate a seguito del furto di veicoli secondo il cosiddetto sistema del ‘cavallo di ritorno’ , nonche’ alla commissione di rapine, furti e ricettazioni di veicoli. Impiegati circa 200 poliziotti nell’esecuzione di numerose ordinanze di custodia cautelare. Le indagini hanno avuto inizio nel mese di settembre 2015 e gli agenti della squadra mobile sezione criminalita’ organizzata della mobile hanno individuato la ramificata organizzazione dell’associazione, ricostruendone la fisionomia e i ruoli dei componenti. Secondo gli investigatori l’organizzazione congegnata dai promotori prevedeva, infatti, una rigida suddivisione in ruoli, in modo che ad ogni partecipante spettassero precise competenze nella ‘filiera criminale’. Vi erano soggetti deputati alla commissione dei furti dei veicoli, suddivisi in batterie ed operanti sull´intero territorio cittadino, sodali che fornivano luoghi sicuri dove custodire i mezzi sottratti fintanto che si concludesse la ‘trattativa’ con le vittime e, infine, intermediari che avevano il compito di contattare queste ultime al fine di prospettare la possibilita’ di recuperare il maltolto. Nel corso dell’attivita’ investigativa conclusa con provvedimenti restrittivi, e’ stato possibile rilevare come l’organizzazione, capace di produrre ingentissimi guadagni, avesse suscitato l´interesse delle famiglie mafiose cittadine alla partecipazione agli utili della consorteria criminale. A tal proposito, e’ stato accertato come i sodali fossero in grado, nel corso di un mese, di portare a termine all´incirca 100 sottrazioni di veicoli con un guadagno approssimativo di 200mila euro.
Nel bilancio dell’operazione della Polizia di Stato di Palermo 25 persone arrestate per furto, rapine e ricettazioni di veicoli. L’attivita’ di indagine ha avuto inizio nel mese di settembre 2015 portando all’individuazione dell’organizzazione criminale che, secondo il cosiddetto sistema del “cavallo di ritorno”, perpetravano furti, rapine ed estorsioni. Alcuni soggetti destinatari delle misure cautelari sono attualmente detenuti in seguito all’operazione antimafia della Squadra Mobile di Palermo denominata “Paesan Blues”, in occasione della quale vennero contestati gli stessi reati per cui oggi c’e’ stata quest’altra operazione, commessi in favore della famiglia mafiosa di Santa Maria di Gesu’. In una nota della Polizia viene sottolineata che “la particolare attenzione dell’organizzazione criminale denominata Cosa Nostra ha trovato riscontro anche nei legami di parentela che connotano i destinatari delle misure cautelari”. Nel corso delle indagini e’ emerso come gli appartenenti alle diverse famiglie mafiose avessero palesato le proprie pretese nei confronti della remunerativa attivita’ delinquenziale. In particolare, sono emersi contrasti tra gli esponenti delle diverse famiglie mafiose in ordine alla titolarita’ del “diritto” di partecipare agli importanti guadagni prodotti dall’associazione per delinquere. I mezzi sottratti erano prevalentemente veicoli commerciali. L’organizzazione criminale prevedeva una rigida suddivisione in ruoli, in modo che ad ogni partecipante spettassero precise competenze nella “filiera criminale”. Vi erano soggetti addetti a rubare i veicoli, suddivisi in batterie ed operanti sull’intero territorio cittadino, sodali che fornivano luoghi sicuri ove custodire i mezzi sottratti fintanto che si concludesse la “trattativa” con le vittime e, infine, intermediari che avevano il compito di contattare queste ultime al fine di prospettare la possibilita’ di recuperare il maltolto. Uno dei soggetti arrestati, nonostante lo stato di detenzione per la condanna inflittagli in occasione dell’operazione antimafia denominata “Paesan Blues”, continuava a gestire dal carcere l’associazione, impartendo disposizioni e ricevendo i proventi dell’attivita’ criminale. E lo faceva per il tramite della moglie – indicata dagli investigatori come ‘fattivamente impegnata nelle attivita’ criminali’ e destinataria dell’applicazione di misura cautelare – la quale, in primo luogo veicolava i messaggi ricevuti in occasione dei colloqui in carcere con il marito ed, inoltre, permetteva agli altri di interloquire direttamente con il detenuto in occasione delle telefonate provenienti dall’istituto di pena. Altri due soggetti, entrambi pluripregiudicati per reati contro il patrimonio, erano direttamente impegnati nella gestione fattiva dell’associazione, anche per conto del sodale detenuto.