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Taormina, G7 contro il protezionismo ma Trump non cede sul clima

Taormina, G7 contro il protezionismo ma Trump non cede sul clima

Dopo l’accordo sulla lotta al terrorismo, niente di fatto sul clima, qualche passo avanti sul commercio, pochi sui migranti. Il G7 di Taormina si chiude all’insegna dei compromessi, anche al ribasso, pur di evitare una rottura. Con la presenza ingombrante di Donald Trump, fermo sulle sue posizioni. A cominciare dal dossier sul clima: l’America prende tempo, annuncia che “deciderà la prossima settimana” e costringe gli altri sei leader ad aspettare la sua scelta di confermare o meno gli impegni presi da Obama a Parigi. Entrando in rotta di collisione con la cancelliera Angela Merkel, che parla di “discussione non soddisfacente” e avverte: non “faremo concessioni”.

“Una soluzione non ideale”, commenta anche Emmanuel Macron. Il premier Paolo Gentiloni, cui spetta la difficile mediazione, tenta di evitare lo strappo: “Non arretriamo di un centimetro ma speriamo decidano presto e bene. Gli abbiamo dato tutti gli elementi, anche quelli di business come la green economy, per prendere la decisione giusta”, dice smorzando i toni. Pronto a rilanciare: “Almeno c’è stata una discussione aperta e vera, non come nei soliti G7 precotti”. Discussione che non si è limitata solo al clima. Anche sul commercio il compito non è stato facile: conciliare l’approccio multilaterale con i dazi e le barriere preannunciati da Trump. Gli sherpa hanno tenuto aperta fino all’ultimo la bozza finale. Passa, e non è poco, l’impegno ai mercati aperti e la “lotta al protezionismo”.

Ma anche la netta contrarietà a qualsiasi “pratica scorretta del commercio”: parole dove si riconosce il profilo di un’America che ha messo nel mirino non solo il surplus tedesco ma anche le svalutazioni competitive asiatiche. Un punto di “equilibrio” che non “era scontato”, commenta Gentiloni dopo un confronto che la Merkel non esita a definire “duro”. Non ci sarebbe invece stata una grande discussione sui migranti. Le ambizioni italiane di portare a casa un impegno, tradotto in una sorta di Migrant Compact per l’Africa da allegare al documento finale, sono di fatto naufragate mesi fa. Lo riconosce lo stesso Gentiloni, definendo quelle pagine “un testo di spunto scambiato” tra gli sherpa. Di fatto la presidenza italiana, che aveva messo i migranti tra le priorità del vertice, porta a casa concetti importanti come l’approccio condiviso, anche di lungo periodo con il coinvolgimento dei paesi di origine e la responsabilità comune.

Ma è costretta (anche qui c’è lo zampino americano) ad accettare il concetto della sicurezza dei confini e il controllo dei flussi. Un risultato zoppo. Come lo definisco le ong che compatte – da ActionAid a Oxfam e One – parlano di “occasione perduta”. Non solo sulla crisi dei migranti ma anche e soprattutto sulle grandi carestie e le crisi umanitarie africane. L’Africa ha preso gran parte della discussione, ha tenuto invece a precisare Gentiloni, che oggi ha ospitato al tavolo anche i paesi ‘outreach’ con cui si è discusso di “opportunità dell’innovazione, della formazione e dalla parità di genere”. I Grandi rilanciano poi, ancora una volta, la necessità di spingere su crescita e lavoro in un contesto dove la ripresa c’è, ma viaggia “sotto le sue potenzialità” in molti paesi.

E mentre su Taormina, che si è trasformata in una nuova passerella per le First Lady (con gli occhi ancora puntati sulle mise di Melania e Brigitte), calava il sipario e i leader ripartivano, i riflettori si sono puntati sull’atteso, e temuto, ‘controvertice’. I timori della vigilia sono rientrati dopo qualche tafferuglio tra polizia e manifestanti. Poi è tornata la calma. Compromessi e qualche mancata aspettativa. Ma Taormina non ha deluso: “Ha funzionato”, è stato il bilancio soddisfatto di Gentiloni, che ha ringraziato Renzi per averla scelta come sede del vertice.