C’è chi si affanna (o cerca di farlo) a rispedire al mittente le accuse di assolutismo, razzismo ed ignoranza a danno di chi ricopre cariche pubbliche nella Lega, cercando di dimostrare che i preconcetti a danno dei leghisti sono ormai materia seppellita. Ma c’è anche chi vanifica in un battito di ciglia questa gran mole di lavoro affidato agli uffici di comunicazione del Carroccio. A cominciare dal capo? Beh, come negare che soltanto un’anima socialmente sofferente può sfruttare il passaggio di un’ambulanza a sirene accese, per regalare una battutina da avanspettacolo ad un pubblico da cinepanettone. (Non è una metafora o un tentativo di far sorridere, è successo davvero, i giornali hanno abbondantemente riportato la notizia). A parte il capo e le sue continue battutine al vetriolo (un po’ fuori protocollo se chi le fa veste i panni di Ministro della Repubblica italiana) a rendersi protagonisti di attività e dichiarazioni discutibili sono spesso le figure secondarie, quelle sullo sfondo, quelle che – se la Lega fosse un film – vedrebbero il loro nome nei titoli di coda dopo quelli del catering e degli addetti al trasporto.
Trieste è una città bellissima, densa di storia e cultura, amministrata da un esecutivo a trazione leghista. Il vicesindaco di quella città, Paolo Polidori, ha avuto un’illuminazione geniale, di quelle che ti fanno scalare la classifica e che ti proiettano verso la gloria delle posizioni avanzate, almeno fra la truccatrice ed il giraffista. Il baldanzoso vicesindaco ed assessore ai “Grandi eventi” [“evento” sarebbe già assimilabile ad un superlativo, ma “grande evento” lo è di più: l’approdo su Marte o la scoperta del vaccino contro tutte le forme di cancro, per dire] ha raccolto ed indirizzato i suoi pregevoli strali verso il manifesto che pubblicizza una delle iniziative sportivo-culturali triestine più longeve, la Barcolama, regata che vanta il maggior numero di iscritti al mondo. “Mona! Chi s’è sta vecia co’a bandiera che dise ch’io ed un maruchìn semo su’a stessa barca, ciò!” deve aver sbottato il supervisore triestino dei “Grandi eventi” La “vecia” sul manifesto è Marina Abramovic, l’artista/performer di fama mondiale che ha stravolto i concetti e gli strumenti dell’espressione artistica, segnando uno dei capitoli più importanti dell’evoluzione artistica nello scorso secolo. Il leghista doc avrebbe rimbrottato gli organizzatori della Barcolama tuonando: “Non s’è nianca ‘sta gran mona…”, e dopo aver imposto la condizione di sostituire il manifesto, pena la sospensione dell’iniziativa, ha prontamente ricevuto lo sdegnato diniego da parte del Presidente dell’organizzazione che gestisce il progetto. In buona sostanza: o la Barcolama si fa con il manifesto della Abramovic oppure non si fa per niente e si rimandano a casa le oltre 2000 imbarcazioni iscritte alla regata. Sui social, manco a dirlo, si registrano le ovazioni dei sostenitori grillo/leghisti e gli insulti di tutti gli altri. La questione è controversa e tutt’altro che risolta. E’ come se a Siracusa venissero sospese le rappresentazioni classiche. Il vicesindaco leghista ravvede nello slogan “We’re all in the same boat”, scritto sulla bandiera portata dalla Abramovic, “un orrendo slogan politico, diffuso mentre il Ministro dell’interno sta cercando di ripulire il Mediterraneo” (dichiarazione riportata testualmente. N.d.r.). L’ufficio comunicazione della Lega, compreso il figlio di Foa, può ben poco di fronte alle scomposte intemperanze leghiste, d’altronde la busta paga è siglata proprio da chi si rende spesso protagonista di dichiarazioni che fanno saltare dalla sedia tutti gli europei che credono ancora nella concertazione, nella solidarietà e nei diritti internazionali.
Il giulivo Polidori non ha mai sentito parlare di Marina Abramovic, l’attività artistica della performer è culturalmente troppo lontana dalle loffe di Boldi & De Sica. Il vicesindaco non ha torto, poveretto, anche se è destinato a perdere la sua battaglia, nonostante il sostegno dei suoi elettori cinepanettonari. Il nostro potrà consolarsi con la conquista della nuova posizione nei titoli di coda. Da tutta questa storia, senza molta sorpresa in verità, impariamo che non è affatto vero che siamo tutti sulla stessa barca, che salvare la vita al prossimo non risiede nell’ordine naturale delle cose, ma è piuttosto una questione politica, anzi partitica. In soldoni, se non ho il colore della pelle giusto, dovrò cercare di non annegare nelle acque dell’Adriatico settentrionale.
A Marina Abramovic è stato chiesto di commentare l’accaduto, e l’artista di origini jugoslave ha bofonchiato qualcosa in montenegrino, invitando l’intervistatore a rileggere la dichiarazione, quanto mai attuale, che la stessa Marina rilasciò del 1974 dopo una rivoluzionaria performance. La Abramovic rimase immobile per una giornata intera, lasciando che il pubblico interagisse a piacimento con il suo corpo, chiamando gli spettatori a vestire i panni di vero protagonista dell’happening. Successe di tutto: la denudarono, le tagliuzzarono la pelle, le fecero assumere le posizioni più strane, finché il servizio di sicurezza dovette intervenire temendo per la sua incolumità. La dichiarazione di Marina Abramovic al termine della performance fu: “Oggi abbiamo imparato una cosa agghiacciante ed importante allo stesso tempo. Quando ad una persona, persino alla più pacifica, viene concesso il potere di fare di te ciò che vuole, questa, molto spesso, non esita a farti del male.”
di BRUNO FORMOSA