Presentato, ieri, “Il patrimonio degli equivoci” di Antonio Gerbino e Francesco Santalucia, Siracusa nella sala mostre della SDS Architettura Siracusa in piazza Federico II di Svevia.
Un libro, quello di Gerbino e Santalucia, da leggere tutto d’un fiato e che ripercorre, in maniera certosina, gli ultimi 40 anni dal trasferimento della gestione dei beni culturali dallo Stato alla Regione Siciliana. Profondamente delusi e arrabbiati coloro che in questi 4 decenni si erano illusi su un sostanziale miglioramento della situazione per la promozione dello sviluppo culturale e la tutela del paesaggio e del patrimonio storico – artistico. Un miglioramento che di fatto è stato insufficiente. Il risultato è sotto gli occhi di tutti siciliani, italiani e del mondo intero. Uno dei patrimoni culturali più considerevoli al mondo, purtroppo, versa oggi in condizioni drammatiche.
L’autorevole prolusione iniziale è stata riservata a Giuseppe Voza. Alla presentazione, con una sala gremita, hanno presenziato l’Assessore ai Beni Culturali della Regione Siciliana Sebastiano Tusa, l’Assessore alla Cultura del Comune di Siracusa Fabio Granata, il docente universitario Fausto Carmelo Nigrelli, la Segretaria per la Sicilia dell’Associazione Nazionale Archeologi Ghiselda Pennisi e il Presidente della SDS Architettura di Siracusa Bruno Messina.
“Per ricostruire e analizzare quarant’anni di storia complessa – dice Antonio Gerbino in un passaggio presente all’interno del libro – come quella del patrimonio culturale siciliano, bisognava partire da dati attendibili e documenti ufficiali accessibili che invece è molto difficile reperire, come hanno evidenziato prima di noi accreditati studiosi”.
“Con l’interruzione della pubblicazione di BCA, il Bollettino dell’Assessorato, – sottolinea l’attento giornalista palermitano – non è stato più possibile conoscere i dati sulla spesa aggregati in modo da poter essere rapportati alle attività svolte dall’Assessorato stesso e dai suoi organi periferici. Inoltre l’archivio del Consiglio regionale dei beni culturali che, anche se incompleto, costituirebbe una fonte di documentazione storica di eccezionale valore, non è ordinato e quindi di difficile consultazione”.
Un lavoro, dunque, che non ha il taglio della ricerca scientifica ma quello di una rigorosa, documentata ricostruzione d’inchiesta.
La storia che viene narrata all’interno de “Il patrimonio degli equivoci” sembra come volerci lasciare una fotografia abbastanza chiara della situazione attuale dalla quale emerge un elemento chiave che vede la Regione, intesa come istituzione, mancare uno degli obiettivi più importanti dell’autonomia, quello di promuovere un sistema di partecipazione democratica dei cittadini alla politica della tutela e della valorizzazione del proprio patrimonio culturale che proviene dal passato e di coinvolgerli attivamente nella progettazione culturale del presente e del futuro. La Regione, intesa come espressione politica e amministrativa, sembra quindi secondo gli autori aver inibito coscientemente il nascere di veri canali di partecipazione subappaltando o condividendo con soggetti terzi percorsi guidati da interessi altri e particolari, con il risultato di finanziare una miriade di singole iniziative senza disegnare percorsi di politica culturale. Quando le risorse finanziarie sono venute meno, quel fragile sistema si è accartocciato.