Si chiamava Toby, era un delizioso micio e mi faceva pipì sullo zerbino di casa. Tutti sappiamo quanto sia puzzolente quell’odore lì. Io non stavo molto simpatico a Toby e non si trattava della genetica ritrosia dei gatti. Quello stronzetto si prodigava in strusciate ed assortimenti di fusa varie con tutti gli inquilini del condominio, tranne che con me. Insomma, fregato due volte: la quotidiana puzza di pipì che salutava generosa ogni mia sortita mattutina, si appaiava alle movenze di indifferenza di Toby. Una bella mattina la mia cortese vicina di casa con cui Toby viveva, mi incontrò e si scusò per quel persistente odore. Cercai di non farle pesare la cosa, e non solo perché era molto, molto, molto, molto carina, ma soprattutto per quella tolleranza che tutti gli umani dovrebbero esercitare verso gli animali e le leggi della natura.
Un giorno Toby sparì, e con lui la puzza di pipì. Alle ragioni del mio quotidiano auspicio di imbattermi nella mia vicina di casa molto, molto, molto, molto carina, si aggiunse quella di chiedere notizie del micio.
Era successo che Toby aveva avuto l’improvvida idea di scegliere un nuovo terminale per la sua minzione, ovvero lo zerbino del capo di quel condominio popolato da facoltosissimi parvenu che sprottavano aria di presunta nobiltà ad ogni passo che segnavano. Il messaggio del domestico filippino contenente il precetto del Dott, Grand Uff, Cav di gran croc e capo di quel condominio, fu tassativo: non doveva succedere mai più!
La mia vicina di casa aveva gli occhi umidi mentre mi raccontava che era stata costretta a trasferire Toby nella villetta di Fontane bianche dove abitava il suo ex marito.
Questo trascorso mi è tornato in mente dopo aver appreso della condanna unanime da parte del Parlamento nei confronti di chi diffonde in rete materiale video/fotografico di natura privata, senza il consenso della persona interessata. In effetti la levata di scudi c’è sempre stata da parte della politica italiana che si costerna, s’indigna, s’impegna, poi getta la spugna con gran dignità. Ma adesso l’orlo è colmo, la vicenda di Giulia Sarti rappresenta il punto di non ritorno, tutti i partiti concordano sull’impellente necessità della legge sul REVENGE PORN .
Toby, insomma, ha fatto pipì sullo zerbino sbagliato.
Piccola digressione esplicativa a favore di quella minoranza di lettori che “…e allora non sei d’accordo sulla legge contro la diffusione di video privati?!” oppure “…ma non ti sta bene mai niente, come si vede che sei un radical chic” ed il sempre attuale “aiutiamoli a casa loro” (che non c’entra una cippa, ma fa ambiente).
Specifico per puro scrupolo, anche se solo un sempliciotto può pensare che esista nell’universo conosciuto un essere senziente in disaccordo sul principio sancito da questa legge indispensabile.
Fra le righe che precedono questa che leggete, si fa riferimento, semmai, alla singolare tempistica. Sono tante le giovani donne che hanno subìto una profonda trasformazione della propria vita per via della diffusione di immagini private messe in rete, perlopiù, da ex mariti e fidanzati che sono stati (giustamente, aggiungerei) mollati dalla protagonista del video virale. Alcune di queste giovani donne, come ben sappiamo, hanno deciso persino di uccidersi. Tutto ciò non è servito a sortire l’effetto che, invece, si è registrato in questi giorni, ovvero la necessaria convergenza politica per incardinare in fretta il testo legislativo.
Meglio tardi che mai? Certamente si, ma ancora una volta molti di noi si sentono ostaggio dell’autoreferenzialità della politica italiana.
A vederla con cinico distacco di tratta di una nuova legge ad personam, anche se con ben altre finalità delle precedenti. Si rincorrono voci di video privati in cui altre deputate italiane si esibiscono più o meno come la Sarti.
Aldilà di tutto è insopportabile che la persona oggetto di ricatti o vendette da parte di ex amanti sia sempre di sesso femminile. Uno dei rigurgiti dei miasmi patriarcali di cui la nostra nazione è intrisa.
Il femminicidio non esiste, la violenza di casa porta i tacchi a spillo, da quando le donne hanno acquisito il diritto di divorziare non sono più realizzate e felici di prima, le donne stanno meglio a casa ad accudire i figli, bisogna aumentare gli stipendi solo agli uomini, il divorzio deve essere vietato perché la questione non è privata ma investe il sociale collettivo, la famiglia ha solo finalità riproduttive.
Frasi di religiosi yemeniti? Pensieri di Putin o Orban? Un passo da Il nome della rosa? No, sono dichiarazioni del senatore Pillon, amico intimo e sodale del ministro della famiglia Fontana ed intestatario del disegno di legge che prevede le norme in materia di affido condiviso. Se queste norme venissero applicate, i figli delle coppie separate dovranno vivere per 15 giorni a casa della madre e per altri 15 a casa del padre. Non solo, la proposta di legge contiene il disconoscimento della violenza domestica, l’abolizione dell’assegno di mantenimento e dell’assegnazione della casa famigliare, l’obbligo di sottoporsi ad almeno sei mesi di mediazione familiare prima di separarsi.
E’ evidente che queste norme andrebbero a vantaggio della parte “forte” della coppia, che solitamente è l’uomo.
Indebolire ulteriormente la donna e scoraggiare le sue ambizioni di indipendenza economica, sociale e fisica è il vero intento.
Non dobbiamo scordarci che se una donna viene stuprata se l’è andata a cercare, e se viene uccisa bisogna stabilire se l’assassino in qual momento era preda di una tempesta emotiva. Non dimentichiamo, insomma, che se Mimì metallurgico viene ferito nell’onore, ha tutto il diritto di vendicarsi ed Antonio Ascalone (Sedotta e abbandonata di Pietro Germi, 1964) ha invece il DOVERE di uccidere Peppino che ha strappato la verginità alla sorella Agnese, ed entrambi devono sapere di poter contare sull’indulgenza dello Stato.
A ben pensarci tutto ciò non mi piace ed allora covo l’auspicio che Toby abbandoni il suo esilio di Fontane bianche e vada a fare pipì dove meglio crede.
di Bruno Formosa