UCCISA DAL SUO PAZIENTE

Omicidio Nadia Pulvirenti, indagine sui centri di riabilitazione psichiatrica

Omicidio Nadia Pulvirenti, l'indagine: quanto sono sicuri i centri di riabilitazione psichiatrica?

E’ facile parlare dopo… dopo, sempre dopo. Si parla dopo una strage “che si poteva evitare”, dopo un femminicidio sottovalutato, e si parla oggi all’indomani del funerale di Nadia Pulvirenti, la giovane siracusana uccisa dal suo paziente nel Bresciano.
Nadia Pulvirenti era una brillante terapista della riabilitazione psichiatrica, il suo assassino, Abderrhaim El Moukhtari, senza pietà le ha sferrato otto coltellate mortali.
Ma perchè in una struttura come quella dove operava la Pulvirenti il suo assassino si trovava armato? E’ giusto tenere coltelli, anche se fossero da cucina, alla portata di tutti? Insomma, quanto sono sicuri i nostri dipartimenti di salute mentale?
“Le aggressioni sono all’ordine del giorno” – risponde Roberto Cafiso a Siracusa Post, direttore del dipartimento di Salute mentale di Siracusa.

Ogni giorno dobbiamo misurarci con innumerevoli problemi. – continua – Per prassi forchette e coltelli non sono accessibili. Poi ci sono casi, come per esempio nelle comunità terapeutiche dove i pazienti sono sedati, dove le regole sono meno rigide

La vera mancanza di sicurezza è quella legata alla struttura dei dipartimenti:

E’ tutto trascurato, e in più ogni giorno viviamo un continuo paradosso. – dice – Per spiegare meglio, faccio un esempio pratico. L’estintore potrebbe essere un’arma, per cui noi cerchiamo di tenerlo nascosto. Ma così facendo andiamo contro la legge, e se dovessero venire i vigili del fuoco per un banale controllo, sicuramente ci farebbero la multa. Questa è solo una delle tante contraddizione con le quali ci confrontiamo tutti i giorni

Poi arriviamo al tasto dolente: i tagli alla sanità, personale inferiore rispetto al bisogno vero di forza lavoro. E questo è ancora più evidente alla luce di un “paziente che da 20 anni a questa parte è cambiato – continua a spiegare Cafiso”

Oggi – dice – è molto più facile trovarsi di fronte a pazienti dipendenti da droga, e la nostra difficoltà è quella di essere sempre vigili e non abbassare mai la guardia, in particolare durante le visite dei parenti. Quest’ultimi incoscientemente passano sotto banco sostanze stupefacenti ai pazienti, non in tutti i casi ovviamente. Queste sostanze possono creare insieme ai farmaci reazioni incontrollate.

E infine arriviamo al caso di Nadia Pulvirenti: “Sui giornali ho letto che il paziente era sotto effetto di cocaina, e questa in combinazione ai medicinali è un mix letale”
Quale potrebbe essere il suggerimento per dormire sonni tranquilli? “Più personale in tutta la nazione, e soprattutto una continua formazione per aggiornare i medici e stare al passo con i nuovi pazienti”.

Noi di Siracusa Post abbiamo avuto modo di farci un giro anche nelle strutture catanesi, per fare un confronto. La carenza di personale medico sembra il primo problema da risolvere. La leggerezza col quale a volte si trattano la condizioni dei pazienti, il secondo. Senza ovviamente dimenticare che si tratta di umani come noi.
Ma che importa oggi? Nadia non c’è più.