La teoria di A. Laffer viene rappresentata da una curva che mette in relazione l’aliquota dell’ imposta, con le entrate fiscali in un asse cartesiano. Fu impiegata dal suddetto economista dell’University of Southern California (Usa) per convincere il candidato alle Presidenziali Americani del 1980, Ronald Reagan a procedere, una volta eletto, con l’abbattimento delle imposte dirette. Laffer era convinto che esistesse un livello del prelievo fiscale oltre il quale l’attività economica non è più conveniente ed il gettito fiscale addirittura tende allo zero, quanto meno se il prelievo raggiunge il 100% del reddito. Nella teoria dell’economia Keynesiana invece il disavanzo pubblico è pari alla differenza, fra spesa pubblica e tasse; il gettito fiscale è dato dall’aliquota moltiplicata per il PIL o reddito nazionale, ed è direttamente collegata alla produzione della ricchezza.
È notorio a tutti che, esiste da qualche anno in Italia un acceso dibattito fra economisti, riguardo al valore dell’aliquota che ottimizza le entrate pubbliche. La riduzione del gettito è a sua volta interpretabile come cessazione delle attività economiche, a causa di una pressione fiscale eccessiva, o come aumento dell’evasione ed elusione fiscale. Oltrepassata l’aliquota ottimale il gettito fiscale tende a diminuire per tre fenomeni: l’evasione che consiste nel sottrarsi illegalmente alle imposte, elusione consiste nel camuffare la natura dell’operazione con lo scopo di beneficiare di minori imposte e sottrazione che consiste nel sottrarre l’imponibile dalla tassazione eliminandolo o spostandolo. Alcuni insigni economisti hanno rappresentato perplessità sulla questione, tra cui anche il premio Nobel per l’economia Joseph E. Stiglitz, avendo sostenuto che questa teoria non abbia avuto nessuna conferma empirica. Anzi si è dimostrato che per far scattare l’effetto Laffer il tasso minimo delle imposte sul reddito dovrebbe raggiungere almeno il 70% e che solamente in questo caso la sua diminuzione sarebbe in condizione di procurare gli effetti previsti. In Italia la pressione fiscale è di cinque punti superiore alla media Europea. Ridurla e nello stesso tempo migliorare la finanza pubblica in modo permanente, stimolando la crescita, si può. Ma è necessario lavorare su diverse variabili contemporaneamente e gradualmente ma questo dovrebbe essere responsabilmente assimilato dalla Politica.
Secondo le stime ufficiali dell’ultimo Documento di Economia e Finanza, 2019 la pressione fiscale in Italia è stata nel 2018 pari al 42,1% del PIL, mentre la stima dell’OCSE la stima pari al 42,9% con un divario di quasi che da 3,5 ai 4,1 punti percentuali rispetto alla media europea. Consideriamo pure che secondo gli osservatori economici di settore aggiungendo anche al tassazione locale ed aggregata la stina va ben oltre il 52%. La causa principale deriva dall’incremento dell’economia sommersa provocata dall’andamento fiscale Italiano. La dinamica del sommerso trae origine da un processo di riallocazione delle risorse che, a seguito di un aumento della pressione fiscale, incentiva gli individui a evadere. In tal modo, si spostano risorse dal settore ufficiale a quello informale, facendo di conseguenza aumentare il peso dell’economia sommersa sulla produzione aggregata, per questo necessita valutare l’impatto macroeconomico di politiche fiscali alternative quali anche la Flat Tax oltre che alla scontata azione di riduzione della pressione fiscale e la lotta all’evasione, ma che a mio avviso va circoscritta e ben strutturata al fine di evitare di ammantarsi di fumo senza riuscire ad ottenere l’arrosto sperato come accade in Italia. La conseguenza principale di questo risultato è che qualsiasi politica che comporti un inasprimento della pressione fiscale, porterebbe inevitabilmente a una riduzione del gettito nel lungo periodo. In altre parole, il modello suggerisce che se l’obiettivo del Governo italiano è quello di aumentare il gettito fiscale, nel lungo periodo sarebbe più efficace ridurre la pressione fiscale piuttosto che farla crescere. Il motivo non è da ricercare solo nel meccanismo di disincentivo sull’economia legale dovuto a politiche fiscali restrittive, ma anche nel fatto che in un’economia con elevati tassi di evasione, l’effetto di riallocazione delle risorse inasprisce l’impatto recessivo su consumi e investimenti, che a sua volta induce una maggiore contrazione della base imponibile e quindi una riduzione del gettito fiscale. Dovendo fare i conti con la realtà empirica e con i fattori esogeni indipendenti del quadro economico-finanziario del nostro Paese, fortemente influenzato dalla congiuntura Internazionale, dobbiamo necessariamente ipotizzare vari scenari di politica fiscale anche fra di loro alternativi: per prima una riduzione generalizzata di due punti percentuali delle aliquote fiscali sui redditi delle imprese e delle persone fisiche; un aumento dei controlli fiscali sulle imprese, ad aliquote invariate, che genera lo stesso aumento di gettito dovuto alla politica di riduzione della pressione fiscale ed un misto combinato tra le due politiche precedenti. Nel primo caso si noti come una riduzione generalizzata delle aliquote fiscali aumenta il gettito nel lungo periodo e ha effetti espansivi sull’economia (il livello di consumo cresce permanentemente), ma induce una riduzione delle entrate fiscali per almeno dieci mesi dalla data di avvio della politica. In sostanza, nel breve periodo l’effetto della diminuzione delle aliquote sul gettito fiscale più che compensa l’effetto sulla base imponibile, producendo un calo delle entrate fiscali. Alla luce dei vincoli di pareggio di bilancio pubblico assunti dal Governo, questa politica, sebbene desiderabile in termini di benessere aggregato, sembra inopportuna, a meno di una contestuale riduzione del livello della spesa pubblica o dell’incremento dell’indebitamento.
Risultati opposti si ottengono nel caso di una politica di intensificazione dei controlli fiscali con aliquote invariate, in questo caso il gettito aumenta istantaneamente, mentre il consumo aggregato diminuisce. Questi effetti accomunano la politica di intensificazione dei controlli a una manovra di politica fiscale restrittiva. Infatti, l’aumento del gettito dovuto ai maggiori controlli deriva interamente dall’effetto di riallocazione delle risorse tra il settore sommerso e quello ufficiale, senza ulteriore stimolo per quest’ultimo (si ricordi che le aliquote rimangono invariate). Ciò comporta un mero trasferimento di risorse dal settore privato a quello pubblico, con conseguente spiazzamento dei consumi privati e ulteriori effetti negativi sulla crescita dell’economia italiana.
Concentriamoci ora sul rapporto tra la Flat Tax e la curva di Laffer. Direi per la comprensione di tutti di partire con la definizione di Flat Fax. Possiamo definire in modo lapidario la “flat tax” quel sistema fiscale che poggia le basi non sulla progressività, ma sulla base di un’aliquota fissa (fatte salve eventuali deduzioni o detrazioni fiscali). Preciso che la suddetta non ha nulla a che vedere con la tassazione indiretta (per intenderci l’IVA) ma evidentemente solo quella diretta (IRPEF). Le principali critiche alla flat tax arrivano in difesa della “giustizia sociale”, infatti risulterebbe una tassazione pari sia per redditi alti che per quelli bassi, infatti, a fronte di un corposo risparmio per chi percepisce alti redditi si avrebbe una magra contropartita per i bassi redditi. Per ovviare a questo disequilibrio quasi tutte le proposte di flat-tax hanno inserito dei “correttori”, come l’esenzione di pagamento per determinate soglie di reddito, figli a carico o disoccupati. Partendo dal principio che tutti vorrebbero pagare meno tasse, la domanda da porsi è se una tassazione lineare sia effettivamente sostenibile da uno stato, che in ogni caso deve continuare a coprire le spese, e se un tale modello potrebbe portare dei benefici sia occupazionali che in consumi, fungendo da volano per l’economia. I principali sostenitori infatti di tale tassazione affermano che avendo il privato più ricchezza in mano, sia maggiormente propenso al consumo, con conseguente ritorno di gettito allo Stato tramite contributi indiretti; maggior gettito che andrebbe a compensare e superare le perdite di una minore tassazione. Nella realtà la flat tax in Italia si è iniziata ad applicare alla categoria dei lavoratori autonomi ancorati ad un certo reddito limitato, ed il Governo, tramite i tecnici e con gruppi di studio, sta lavorando per applicarla prospetticamente ad una platea ben più vasta di Contribuenti. A questo punto la domanda sorge spontanea, come possano interagire la flat tax con la curva di Laffer ovvero che collegamento si crea e quale condizionamento ne scaturisce. La curva di Laffer è una curva che mette in relazione l’aliquota di imposta con le entrate fiscali. Certamente dobbiamo tener conto che la curva di Laffer può soggiacere a delle limitazioni, non essendo un modello globale, ma che va contestualizzato nell’ecosistema di applicazione; parlando infatti di tassazione globale (poniamo al 30%) non viene specificato se siano comprese le tasse regionali o se i comuni possano applicare proprie tassazioni. Dall’altra ha il grande vantaggio della possibilità di fare una stima circa l’ottimizzazione della tassazione, ovvero se si sta ottenendo l’introito massimo possibile con la tassazione minima possibile. Osserviamo in fine come si può inserire nell’attuale sistema fiscale Italiano, atteso il fatto che, attualmente la tassazione dei redditi delle persone fisiche è improntata al criterio di progressività e quello della flat tax a quello di proporzionalità con una unica aliquota o potendo ipotizzare all’applicazione di entrambi i criteri in modo combinato per fasce e categorie di reddito al fine di evitare disparità di trattamento trai Contribuenti. Sicuramente i pregi della Flat tax, derivano dalla condizione che l’aliquota unica determinerebbe una semplificazione del sistema fiscale, contribuirebbe allo stimolo dell’attività economica e della crescita, incrementerebbe l’offerta di lavoro, nel senso della disponibilità delle persone a lavorare e alla riduzione dell’evasione. Con un effetto complessivo di aumento del gettito fiscale. Certamente laddove non si intenda mettere mano al principio Costituzionale previsto dall’art 53 in cui viene previsto che il nostro sistema è informato ai criteri di proporzionalità, si potrebbe operare o sulle aliquote esistenti facendo dapprima un confronto con l’applicazione di più aliquote fisse di flat tax in modo da garantire il rispetto della progressività prevista dalla costituzione, distinte per categorie di reddito e soglie di reddito, tali da armonizzare in modo equo le varie fasce di reddito, magari operando con dei correttivi che derivano dall’utilizzo della detrazione dell’imposta o della deduzione dalla base imponibile a seconda dei casi. In definitiva, si ritiene che laddove l’introduzione della flat tax a regime elaborata con le dovute verifiche e premesse, venisse realizzata la curva di Laffer otterrebbe la realizzazione concreta in modo empirico e verificabile tale che la risposta alla domanda del titolo iniziale di questo breve commento sull’argomento sarebbe del tutto affermativa.
Prof. Giuseppe Garro
Dottore Commercialista
Revisore Contabile
In Siracusa