In cosa consisterà mai, quest’anno, l’impegno di chi decida d’essere più “buono” a Natale? Donare una cinquantina di euro alla “Chiesa” e non al prete che combatte giorno per giorno la povertà della gente? Fare genericamente “beneficenza” ad un ente o associazione senza averne verificato l’attività pregressa? Molto spesso (troppo spesso?) le scelte che operiamo, le decisioni che adottiamo si muovono nell’ambito dell’autoreferenzialità. Decine di trattati di Psicologia spiegano che gli atti benefici che compiamo hanno spesso l’obiettivo inconscio di stemperare i complessi di colpa che proviamo verso chi possiede meno di noi. Gli studiosi chiamano questo fenomeno “Warm glow”. Per alcuni di noi verificare che il prodotto della nostra generosità pervenga effettivamente nella disponibilità di chi ha bisogno, assume una connotazione d’ordine secondario rispetto all’urgenza di sentirci solidali e munifici. Molte persone, infatti, nel momento in cui donano, provano una legittima sensazione di benessere per il fatto di aver compiuto una buona azione. I donatori “Warm glow” sono più inclini ad essere condizionati dalla risonanza pubblicitaria di una campagna di “Fund rising” (raccolta fondi), ed anche questo spiegherebbe il successo incontrastato di Telethon che, grazie alla pubblicità che ottiene dai media, fa la parte del leone raggiungendo annualmente il traguardo economico di oltre 31 milioni di euro (raccolta fondi) sommato ai circa 25 milioni di “proventi da attività istituzionale”, per un totale di circa 56 milioni di euro. Curioso è che il nome della fondazione Telethon non appaia fra le quaranta organizzazioni benefiche italiane con il più alto grado di trasparenza amministrativa (ovvero le informazioni su come vengano effettivamente utilizzati i fondi raccolti o ricevuti). Del novero delle prime organizzazioni in testa alla speciale classifica fanno, invece, parte: ActionAid Italia, Amref Health Italia, ARCS Culture Solidali, Emergency, Fondazione AVSI, Fondazione Terre des Hommes Italia, Gruppo Aleimar, Incontro fra i Popoli. Anche i bilanci di Save the children, Unicef, Intersos sono regolarmente pubblicati. Io, per natura, non mi fido molto di chi snocciola dati senza produrre gli opportuni approfondimenti (i dati sono diffusi dal Portale della cooperazione internazionale connesso al Ministero degli esteri italiano), per cui ho deciso di verificare direttamente sul sito internet di Telethon. Cliccando sul link attivo “Ci teniamo alla trasparenza per questo rendiamo disponibile a tutti il nostro bilancio di missione: sfoglialo subito” si viene indirizzati ad una pagina che contiene tutte le modalità per effettuare dotazioni, ma del bilancio neanche l’ombra. Non senza difficoltà sono riuscito a reperire un rendiconto della gestione (molto, molto sintetico) riferito al 2015. Fra le spese spiccano quelle per la “raccolta fondi” (oltre 12 milioni di euro) e “supporto generale ed oneri finanziari e patrimoniali” (circa 4 milioni e mezzo di euro). Queste due voci sono le più contestate perché si riferiscono, fra l’altro, agli stipendi dei dirigenti di Telethon che sarebbero a dir poco profumati. In un blog legato a doppio filo alla fondazione, si legge: “Sulla questione stipendi dirigenti non credo ci sia molto da dire, se io a fronte di un investimento di 12 milioni di euro ne faccio entrare tre volte tanto, avrò lavorato così bene da valere uno stipendio di un certo tipo.” (fonte: https://www.butac.it/telethon-la-ricerca/)
La fondazione, inoltre, non fa mistero del fatto che Telethon sovvenzioni moltissime ricerche che coinvolgono animali, cani, gatti, scimmie e topi transgenici, ai quali vengono indotti in modo del tutto artificiale i sintomi della malattia studiata. In sostanza viene riprodotto un sintomo simile a quello sotto studio ma le cui cause sono assolutamente diverse, e che si manifesta su una specie del tutto differente da quella d’interesse umana. Secondo Giulio Cossu, ex direttore del Centro per le Cellule Staminali dell’Istituto San Raffaele di Milano, e coinvolto in un progetto di ricerca sulla distrofia muscolare finanziato proprio da Telethon, “…la sperimentazione sugli animali è una prassi basata su un errore metodologico, e cioè che un uomo ha muscoli di gran lunga più grandi di quelli di un topo e quindi, per poter ricostituire l’intera massa di un quadricipite umano, non servirà più mezzo milione di cellule, ma probabilmente ne servirà un miliardo! E’ proprio a tale scopo -ha proseguito Cossu– che stiamo studiando i mesoangioblasti umani, ma non conosciamo ancora di queste cellule le stesse cose che abbiamo imparato su quelle del topo, e potremmo avere delle brutte sorprese, come ad esempio che le cellule umane non crescano tanto quanto quelle del topo. Potremmo quindi averne poi in numero insufficiente“.
(https://www.cnr.it/sites/default/files/public/media/organizzazione/consiglio_scientifico/COSSU.pdf)
(www.uildm.org)
Quasi il 50% delle ricerche di Telethon sono effettuate su animali, e ciò provoca la puntuale l’insurrezione non solo di animalisti ed ambientalisti, ma anche di molte organizzazioni della comunità medico-scientifica internazionale.
“Condurre la ricerca è obbligatorio, condurla senza usare gli animali è possibile!” Questo è il monito lanciato da centinaia di migliaia di scienziati in tutto il mondo.
L’editoriale che avete letto è soltanto un insieme di dati ed opinioni scientifiche che nulla vuole sottrarre ai traguardi raggiunti dalla ricerca della fondazione Telethon. Bisogna però specificare che in oltre dieci anni di attività e in virtù dei circa 500 milioni di euro amministrati, ma soprattutto delle atroci morti e sofferenze procurate a centinaia di migliaia di esseri viventi, i risultati raggiunti sono ben miseri, ed è proprio per questo che Telethon è nell’occhio del ciclone.
BRUNO FORMOSA