Tutte le volte che assistevo ad un’azione censurabile commessa da una persona d’età, mi ripetevo che bisognava averci un po’ di pazienza, dicevo a me stesso che i ricambi generazionali avrebbero sostanzialmente migliorato le cose nella mia città e nel mio Paese. Una decina d’anni dopo mi sono ritrovato ancora in attesa dell’auspicata conversione. Oggi ho definitivamente smesso di aspettare, è arrivata la sentenza. Non è, quindi, questione di età, ho concluso, aggiungendo il mio nome a quello degli scopritori dell’acqua calda. Vivere in una città che ha finalmente posto in essere la politica della raccolta differenziata dei rifiuti urbani, ed assistere alla scena tristissima di un giovane che scarica con disinvoltura sacchi della spazzatura nei luoghi che vengono considerati deputati all’odiosa pratica, come la zona nei pressi del circuito, a cui la foto si riferisce, è cosa che mi trasmette parecchia tristezza.
Proprio in quella zona transitavo qualche giorno fa, cogliendo sul fatto un 30/35enne che stava liberando la sua auto d’un paio di comodini scassati e di una rete da materasso. Mi sono fermato, mi sono avvicinato e, cercando di trattenere le superflue fiamme dell’indignazione, ho fatto notare che a non più di tre minuti di strada da quel punto esiste il centro di raccolta dove sarebbe stato possibile conferire comodamente sia la rete che i comodini. Lo sguardo che ne ho ricevuto è stato quello che ciascuno di noi rivolgerebbe ad un Gasparri che avesse appena pronunciato un concetto vagamente intelligente, e la replica è stata sgarbata: “Ma lei picchì nun si fa l‘affari so’…”
Ho ritenuto utile sottolineare che quelli ERANO affari miei, come sono affari di tutti coloro i quali vorrebbero vivere in una città pulita.
Mani ai fianchi, testa verso l’alto in segno di sfida e voce stentorea a quel punto erano elementi indispensabili per adottare le regole del Manuale del bulletto di periferia.
“Anzi, facissi ‘na cosa, s’i mittissi n’a machina e ci’i puttassi lei. Facemu accussì?”
Devo dire che tutte le volte che mi sono trovato a fare polemica con il mio prossimo (litigare al cinema con gente che parla ad alta voce durante i titoli di testa del film perché “tanto ancora devono cominciare a parlare…” mi è capitato fin troppo spesso) la fortuna mi è stata amica, ed il litigio verbale non si è mai trasformato in azione. Forse perché c’avrò la faccia del camurriusu (al quale darla vinta vuol dire scongiurare tediose perdite di tempo) o forse perché proprio mingherlino non sono. Insomma mi ero ben abituato all’idea che nella peggiore delle ipotesi c’avrei rimediato una sonora mandata a quel paese, ma nulla di più. Fra l’altro nella mia vita non ho mai dovuto sostenere estemporanee scazzottate, ma ho temuto che quel pomeriggio il primato sarebbe evaporato. Io non mi ci vedo proprio nei panni dell’estemporaneo fighter da strada e quindi ho fatto di necessità virtù riavviando il mio scooter con la consapevolezza di aver miseramente fallito un tentativo di sensibilizzazione.
Solo a quel punto il raffinato dandy, con la vittoria in cassaforte, ha fatto tronfiamente ritorno alla sua auto raccogliendo l’approvazione della maga Magò che giaceva scompostamente depositata sul sedile del passeggero (la First lady, I suppose) e che mi ha rivolto un compassionevole quanto velenoso sguardo di scherno, senza raggiungere il risultato di colpire il mio amor proprio. Cuoceva in me, piuttosto, la rabbia di avere assistito alla nuova rappresentazione dell’inadeguatezza di quei miei concittadini che non sanno di vivere in una delle città più affascinanti del mondo. I giovani ed i giovanissimi che ancora non lo sanno, raccolgono uno scettro infame, perpetuando il famoso detto U Signuri manna u pani a cu’ nunn’havi i denti. Intanto quel pomeriggio io ho riportato a casa i miei, di denti. E’ già un risultato visto come si erano messe le cose.
Non è un paese per vecchi, e ancor meno per giovani.