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Siracusa, Moni Ovadia e Mario Incudine in ‘Anime migranti’: ieri al Teatro Comunale

Siracusa, Moni Ovadia e Mario Incudine in Anime migranti: ieri sera al Teatro Comunale

Umano, delicato, elegante, partecipato, vissuto, sentito, toccante. Solo applausi ed emozione per lo spettacolo di ieri sera “Anime Migranti” andato in scena nell’affascinante cornice del Teatro Comunale di Siracusa.
Una breve performance di un gruppo di ragazze che hanno scaldato i cuori degli spettatori portando a Siracusa un pezzo della cultura africana con danze e canti tipici del posto. “Maestra”, “parrucchiera”, “dottoressa”, “avvocato”, ciascuna prima di iniziare lo spettacolo ha urlato il proprio sogno nel cassetto, quel “che vuole fare da grande”, un frammento di sogno che quando si è ancora minorenni si conserva e si rincorre nel tempo. Sogno che nessuno ha il diritto di infrangere.

Si apre il sipario e comincia l’arte tradotta in note, in versi, in emozioni. L’artista Mario Incudine accompagna con chitarra e voce i testi recitati dall’attore Moni Ovadia.
Prima la storia di una famiglia siciliana di almeno 60 anni fa emigrata all’estero per cercare fortuna. Lui, il padre, lavora in miniera e continua a mantenere il legame con la famiglia lasciata in terra siciliana tramite corrispondenza epistolare. Lei, moglie e madre, attende ogni giorno il rientro di lui, tessendo in spiaggia con gli occhi rivolti verso il mare. E poi l’incidente: lui non tornerà mai. I vicini di casa curiosi, in pieno stile siciliano, chiedono alla moglie del rientro dell’uomo “Quando questa tela sarà finita lui rientrerà” lei risponde. E così la donna di giorno tesse la tela e la notte la disfa, unico modo per non ammettere che lui non c’è più.

E poi si torna ai giorni nostri, lo scenario cambia ma le passioni, i sentimenti che muovono gli esseri umani no. Il “problema” dell’immigrazione sul palcoscenico diventa il dramma umano, quello più vero, quello impossibile da nascondere. Quanti sono su quei barconi? Non si sa, non si sono contati. Ciascuno sente il respiro dell’altro accanto, tra pianti e gemiti. Ma questa è l’unica certezza di essere vivi.
Come numeri sono partiti dalla loro Terra, non come umani. Senza nulla con sè, solo la speranza: la stessa che riaffora alla vista della costa. La Terra ferma dopo mesi di viaggio. Eppure molti di loro non ce la faranno.

Due storie raccontate con un unico fine: ricordare agli spettatori cosa erano, e cosa hanno fatto in passato i loro nonni, zii. In poche parole: risvegliare l’empatia, il sentimento più umano. Immancabili le critiche per l’organizzazione dello spettacolo: ingresso gratuito, ma biglietti difficile da reperire. Davanti il teatro qualcuno si lamenta per essere rimasto fuori, i turisti che chiedono in giro per capire dove reperire i biglietti.

A pochi passi dal Teatro, invece, nell’ex Chiesa dei cavalieri di Malta, la mostra fotografica di AccoglieRete: occhi, mani intrecciate, e sintonia tra due culture non troppo lontane. Ogni immagine è accompagnata da citazioni che spiegano la foto e aprono il cuore. Da tutto il contesto emerge il desiderio di libertà e quello (ancor più forte) di voler spiccare il volo dei piccoli uomini e delle piccole donne giunti in Italia, vite segnate dal viaggio della speranza che adesso chiedono riscatto. Anzi, diritti.

Il sipario si è chiuso, applausi scroscianti e poi ssshh: riflessioni in corso.