UNO SPARO NEL BUIO

L’eccessiva sobrietà dei messaggi elettorali… DI BRUNO FORMOSA

L'eccessiva sobrietà dei messaggi elettorali

Eravamo in attesa e, finalmente, come le cose più belle della vita, è arrivata. La consultazione elettorale amministrativa, però, questa volta è meno spettacolare, almeno nella sua fase propagandistica, che è quella che ci interessa di più. Non diciamo che bisognerebbe tornare ai tempi beati in cui apprendevamo che Ciccio oppure ‘Nzulo erano candidati al Comune o alla Provincia leggendo le sobrie comunicazioni impresse con l’ausilio di una vernice rossa sui muri della città; non pretendiamo tanto, ma ci aspettiamo che qualcuno si inventi un sistema per rendere le campagne elettorali un po’ più scoppiettanti, nel pieno rispetto del temperamento siracusano. Rispetto ai moderni strumenti di comunicazione, le scritte sui muri potevano restare lì, a ricordo imperituro dell’epica battaglia condotta da Jano Sugameli (o ‘Nzino Scoppularicchi, nel caso in cui Jano Sugameli esistesse davvero) per raccogliere 12 voti e sfiorare l’elezione a consigliere comunale.  All’interno della cinta urbana, invece, i tempi erano molto brevi, il Comune ci metteva al massimo un paio di lustri per cancellare questi murales Art Brut. Altre dinamiche ed altri tempi, invece, per le pareti rocciose che accompagnano il tragitto verso il sito di Avola antica: abbiamo letto la gloriosa scritta “Alla Regione vota Nicotra” fino ad un paio di anni fa; la stradella per Vendicari era tutto un festante florilegio di Vota questo, vota quello; sui cavalcavia che sormontano le strade a percorrenza veloce, non era raro imbattersi nel confortante invito “Vota Nicita”, prima che qualche sfacinnatu lo facesse cancellare, ma anche Spoto Puleo, Aparo, Di Raimondo, Spagna, Gilistro, Nitto Brancati e, naturalmente, Foti. In un paio di anfratti di Ortigia esiste ancora la scritta “Regio decreto a favore di Alessandro Specchi”, un auspicio che avrebbe trovato applicazione nel periodo precedente il ventennio fascista. (Le scritte dell’idioma “Ad Avola c’è il Kartodromo”, che ha accompagnato la gioventù di molti di noi, corredato del noto ed irriferibile sottotitolo, è inopinatamente scomparso da tanti anni ormai, e se non ci avesse pensato Valerio Vancheri nel suo libro che prende il titolo dalla sostanziale comunicazione, la leggenda si sarebbe persa da un pezzo).

Il principio è molto semplice: il nome di Alessandro Specchi ha trovato felice applicazione sulla tabella di una via della città, per cui sotto il profilo storico le scritte murali che lo riguardavano potevano essere cancellate senza alcun rimpianto perché destituite del ruolo di strumento di memoria e testimonianza, ma che vogliamo fare con Vincenzino Tedeschi e Aldo Salvo (dico per dire)? Adesso che le strade e le piazze sono esaurite e che ogni minuscola rotonda ha la sua denominazione, che si fa? Facciamo altre rotonde per non scontentare nessuno? Valla a sbrogliare questa matassa! Non sarebbe stato più comodo ed economico lasciare che quelle scritte sui muri, sui monumenti, sul manto stradale, sulle saracinesche dei negozi, sui pali dei semafori assolvessero alla loro funzione finché il tempo non ne avesse determinato la sparizione? Adesso, per scongiurare il pericolo di vedere in giro per la città orde di ex sindaci con la funcia (sarebbe il broncio, per i non siciliani), il prossimo primo cittadino dovrà fronteggiare questa emergenza, altro che pulizia delle strade, altro che valorizzazione culturale e turistica della città, Travel card, ZTL, trasporti pubblici, rifiuti, opere pubbliche… il nuovo primo cittadino dovrà scervellarsi per risolvere i guai combinati dai suoi predecessori con la mania della cancellazione!

La Storia siracusana indica che le campagne elettorali successive al periodo delle scritte murali, si sono svolte all’insegna dei volantini, degli autoadesivi, degli stickers, materiale intrigante ma lontano anni luce da quello che avrebbe successivamente segnato un’epoca indimenticabile: i santini. Sono sarcasticamente così chiamati questi strani volantini di ridotte dimensioni ed in quadricromia, sui quali era stampata la facciona del candidato, il suo nome, il partito e (delizia assoluta) lo slogan.

Bei tempi: tappeti di santini ricoprivano le strade della città, Franco Greco sull’autobotte dismessa dei Vigili del fuoco percorreva in lungo e largo la città, Massimo Lotta distribuiva strette di mano al semaforo di Viale Paolo Orsi, la 500 blu bandezzava la candidatura di Gilistro, Salvo Barberi offriva caffè e battute micidiali a chiunque incontrasse, le radio locali producevano interminabili interviste a pagamento di candidati che volevano “risovvere i pobblemi di Saracusa cotturismo e lacuttura”, ogni locale in Ortigia vantava il presidio perenne del candidato amico o parente del proprietario, ogni bar aveva i suoi santini poggiati vicino alla cassa, e così via.

Finito! Tutto questo è finito per sempre! E la colpa di chi è?! Principalmente di Zuckerberg (cosa che gli deve venire un attacco di dissenteria durante qualche conferenza) e del maledetto Facebook. E certo, cosa preferireste voi, possedere un’automobile che vi consegnano gratuitamente fino a casa oppure un catorcio che dovete andarvi a cercare in giro e che per giunta costa un botto?! In città non si vede un candidato, un santino, e men che meno una bella scritta con la vernice rossa. Almeno, non ancora.

Qualcuno sostiene che il nobile fenomeno non sia da attribuire esclusivamente al processo evolutivo della propaganda elettorale, si dice che la nutrita schiera dei candidati siracusani sia prevalentemente composta di persone preparate, civili, educate e rispettose del prossimo. Anzi, se dobbiamo dirla tutta, c’è chi ritiene persino che non sia irrealizzabile l’impresa di scovare fra i candidati, delle dotte teste pensanti che esprimono da par loro postulati ricercati; parliamo di teste che producono concetti singolari, illuminati, ancorché rivolti ai pochi che riescono a comprenderne i principi. Teste appartenenti a personaggi di nicchia, insomma. Sono principi di nicchia per concetti di nicchia, partoriti da teste di nicchia.