UNO SPARO NEL BUIO

Si può rinunciare all’alimentazione carnivora? –

SI PUO’ RINUNCIARE ALL’ALIMENTAZIONE CARNIVORA? di BRUNO FORMOSA
SI PUO’ RINUNCIARE ALL’ALIMENTAZIONE CARNIVORA?
Spunti per una riflessione aldilà di pregiudizi e fake-news.
 di BRUNO FORMOSA
 
<E’ una fortuna per il pescivendolo e per i suoi clienti che le creature del mare non siano dotate dell’uso di onde sonore e non abbiano voce. Altrimenti da queste gabbie si leverebbero grida(…) Decine di nocicettori polimodali come i nostri si trovano nella testa e nel collo delle trote arcobaleno. Era comodo un tempo pensarla in termini biblici, crederci circondati da automi commestibili diffusi per terre e per mari  a nostro beneficio. E adesso si scopre che anche i pesci provano dolore(…) Perowne continua a pescarli ed a mangiarli e, se è vero che non tufferebbe mai un’aragosta viva nell’acqua bollente, tuttavia è disposto a ordinarne una al ristorante. Il trucco, come sempre, la chiave del successo e del predominio dell’uomo, consiste nell’essere selettivi nella misericordia.   (Dal romanzo “Sabato” di Ian McEwan).>
 
E’ in atto da diversi anni una strumentale campagna a danno di chi, vegano o vegetariano, abbia adottato un percorso di vita alternativo a quello degli onnivori. I vegani e vegetariani sono talvolta accusati di irresponsabilità ed esibizionismo, quando non di fanatismo. Questa pratica diffamatoria (anche se ormai in fase di estinzione) resiste ancora solo fra quegli italiani che non hanno l’abitudine di documentarsi prima di sentenziare.
Come spesso capita quando entrano in ballo gli interessi corporativistici, si è messo in moto il tentativo di orientare il pensiero comune con l’arma più antica e odiosa del mondo, quella della calunnia e della disinformazione. Una parte della stampa, la più spregiudicata, ha ordito vere e proprie campagne di delegittimazione a danno di vegani e vegetariani. Le ragioni di queste attività di propaganda di regime non sono certamente di ordine sociale (ormai il giochetto è scoperto), ma di natura meramente economica: tenere bordone agli industriali della produzione carnivora si traduce automaticamente nella tanto agognata committenza pubblicitaria.
Non molti ci avranno fatto caso, ma le testate giornalistiche che nel corso degli anni non si sono allineate a questa politica, hanno “perso” la pubblicità dei produttori di carni, tanto per fare un esempio. Al danno si aggiunge la beffa: le spese dei passaggi televisivi di uno spot dell’Assocarni, che fino allo scorso anno passava sulle reti Rai, erano sostenute dal Ministero delle politiche agricole, quindi anche con i soldi di vegani e vegetariani. Uno spot ingannevole che ammoniva sulla presunta necessità di cibarsi di carne animale per “contribuire al naturale benessere dell’organismo”.  La propaganda, ovviamente, non faceva cenno alle ragioni di fondo che rendono nociva l’alimentazione carnivora: gli allevamenti intensivi, l’uso smodato di antibiotici, l’inquinamento, per non parlare della questione etica e della fame nel mondo. E’ stato, inoltre, ignorato Il report licenziato dall’Organizzazione mondiale della Sanità nel 2015, che sancisce il collegamento esistente fra insorgenze di patologie tumorali e consumo di carne. Come è evidente l’intesa trasversale fra politica, una parte del mondo della Sanità e Media ha prodotto le campagne pro-carne che traevano linfa vitale dalla sistematica delegittimazione di vegetariani e vegani.  Chi ancora asserisce che i non mangiatori di carne rappresentino soltanto una risibile minoranza modaiola dedita al fanatismo culturale e che i figli di questi ultimi sono in serio pericolo di vita, insulta la sua stessa intelligenza.
Della folta schiera vegan/vegetarian fanno parte Paul McCartney, Joaquin Phoenix,  Stevie Wonder, Leonardo Di Caprio, Carl Lewis; lo erano anche Margherita Hack, Guido Ceronetti e Umberto Veronesi. Fra i personaggi storici citiamo Plutarco, Pitagora e Leonardo Da Vinci.

In Italia l’attrice siciliana Loredana Cannata, vegana convinta, è particolarmente attiva nell’ambito della difesa degli animali. L’artista organizza e sostiene campagne a favore dell’alimentazione priva di carni e derivati, da molti anni. L’attrice giarratanese è, inoltre, testimonial di svariate manifestazioni ambientaliste, alcune delle quali clamorose, il cui motivo portante è la vita degli esseri viventi e la crisi climatica.

Il fenomeno della mistificazione, ovviamente, non riguarda solo l’Italia: ho scovato su un sito web americano a vocazione carnivora, i seguenti dati:
  • La proporzione di vegetariani e vegani negli Stati Uniti è sorprendentemente piccola. Solo circa il 2% degli intervistati  non consuma alcuna carne – 1,5% erano vegetariani e 0,5% erano vegani.”
In effetti sondaggi ben più attendibili (effettuati da parti “terze”) hanno stabilito che negli USA le percentuali si assestano sul 9% per i vegetariani e 2% per i vegani.
  • “Cinque vegetariani su sei abbandonano la loro dieta priva di carni.”
Dato clamorosamente falso: non sono state registrati flessioni od incrementi significativi negli ultimi tre anni. Per avere conferma basta consultare i siti dei più seri istituti di sondaggi e censimenti.
Il ricorso sistematico alla divulgazione di fake-news risulta sempre attivo, nonostante le smentite di scienziati, nutrizionisti e vari studiosi. A recedere dal regime vegetariano, come è specificato dal giornalista/scrittore  Franco Libero Manco “(…) è chi non è mai stato veramente vegetariano (e credo che lo stesso concetto valga anche per i vegani che tornano ad essere vegetariani): è semplicemente la situazione di chi ha voluto sperimentare la nutrizione vegetariana senza aver maturato le motivazioni di fondo. Chi sceglie di essere vegetariano per motivi salutistici è, statisticamente, più incline a pentirsi rispetto a chi è vegetariano o vegano per motivi di coscienza.”
Mi è capitato talvolta di sentire qualcuno asserire “…io sono vegetariano, ma al pesce non rinuncio”, scatenando la mia ilarità e quella di tutti i presenti. E’ questa categoria di “vegetariani” alla quale Manco fa riferimento, quella destinata a tornare all’alimentazione carnivora, persone – queste sì – inclini alla moda ed al facile ed infantile esibizionismo. Chi è consapevolmente vegetariano da alcuni decenni conosce bene i disagi vissuti particolarmente alle origini della sua scelta, quando i camerieri dei ristoranti, appreso di un commensale vegetariano, portavano al tavolo una coscia di pollo, meravigliandosi della notizia che anche il pollo rientrasse nella categoria delle “carni”.  Anni a sopportare le obiezioni di chi con lo sguardo furbetto mi diceva: “…allora se sei vegetariano non devi usare l’auto perché inquina, non devi prendere l’aereo per le scie chimiche, non devi fare questo e non devi fare quello…”, come se la scelta vegana o vegetariana di qualcuno dovesse necessariamente passare attraverso il vaglio degli altri per raggiungere la legittimità. Da molto tempo, fortunatamente, le cose sono cambiate ed il vegetariano, e ancor di più il vegano, più che un curioso individuo che viene da un altro pianeta, viene percepito semplicemente come una persona che applica il diritto del libero arbitrio che si traduce in amore e rispetto per gli esseri viventi. Il merito di tutto ciò è da ascriversi esclusivamente all’iniziativa privata, agli attivisti animalisti ed ambientalisti, alle campagne volontarie di divulgazione della filosofia che pone al bando il consumo di tessuti animali e di derivati, non già alla politica che è fin troppo impegnata negli agoni del potere autoreferenziale.
In Germania è stato commissionato un sondaggio denominato “German Health Interview and Examination Survey and its Mental Health Supplement”. Si tratta, anche in questo caso, di un’iniziativa governativa portata a termine con fondi pubblici. Il tema è estremamente sensibile: le possibili relazioni tra dieta vegetariana e disturbi mentali. I risultati riportati sono sconvolgenti: circa il 20% dei vegetariani tedeschi presenterebbe, in diversa misura, elementi di disagio mentale. Fra le cose che il sondaggio ha fraudolentemente ignorato c’è che la Germania (insieme al Portogallo, alla Finlandia ed alla Svezia) è il paese europeo con il più alto tasso di individui vittime di depressione, ed è quindi facile concludere che il fenomeno non riguarda i vegetariani, che rientrano nel trend nazionale, ma tutta la popolazione. Ciò che i sondaggisti incaricati dal governo tedesco non sono proprio riusciti ad evitare, è invece un passaggio del documento conclusivo in cui si legge: “la dieta vegetariana è associata con una migliore salute fisica”, facendo andare su tutte le furie i committenti occulti dell’incarico.
D’altro tenore è la posizione dell’Academy of Nutrition and Dietetics (la principale organizzazione statunitense dei professionisti dell’alimentazione e della nutrizione, e la più grande al mondo, con quasi 67.000 membri; approssimativamente il 75% di loro sono dietisti registrati ed accreditati): “le diete vegetariane correttamente pianificate, comprese le diete totalmente vegane, sono salutari, nutrizionalmente adeguate e possono apportare benefici per la salute nella prevenzione e nel trattamento di alcune patologie. Le diete a base vegetale sono maggiormente sostenibili a livello ambientale rispetto a quelle ricche di prodotti di origine animale, in quanto utilizzano quantità inferiori di risorse naturali e sono associate ad un minor danno ambientale. Vegetariani e vegani hanno un minor rischio di sviluppare determinate condizioni patologiche, tra cui malattie ischemiche cardiache, diabete di tipo 2, ipertensione, alcuni tipi di cancro e obesità.”
Al cospetto di un’imponente quantità di studi e ricerche sui benefici delle diete vegetariana e vegana, l’unica arma rimasta alle corporazioni della carne è quella dell’informazione ingannevole per cercare di tenere in vita un commercio destinato a scomparire. L’antropologo francese Claude Levi-Strauss ha scritto che mangiare gli animali sarà il nuovo cannibalismo del millennio, prevedendo la necessaria conversione mondiale verso le diete prive di carne per ragioni di ordine etico, ma anche per questioni vitali: l’inquinamento prodotto dagli allevamenti intensivi, tanto per cominciare, senza contare che la politica di destinare alla coltivazione i terreni al momento occupati dagli allevamenti, permetterebbe una produzione di cibo e risorse di ben dieci volte superiore; ciò consentirebbe all’umanità di essere sfamata e dissetata in misura esponenziale rispetto ad oggi, e ridurrebbe sensibilmente il rischio di conflitti bellici fra i paesi del sud del mondo e quelli industrializzati.
A questo punto bisogna stabilire se credere ad un qualunque velinaro prezzolato oppure a scienziati, studiosi ed antropologi di fama planetaria.