UNO SPARO NEL BUIO

Uno sforzo civile per i Matteo di domani

Uno sforzo civile per i Matteo di domani
All’indomani dell’assassinio di Priolo
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Esiste un sottile filo che demarca il confine fra giustizia e giustizialismo, fra punizione e vendetta. Nell’imaginario collettivo quel filo viene spesso spezzato, producendo feroce odio, talvolta -come nel caso di cui stiamo per trattare- più che giustificato. Il criminale gesto compiuto a Priolo dall’assassino del cane Matteo ha avuto un’eco nazionale, com’era giusto che fosse. Il coro sdegnato di tutti coloro i quali hanno appreso la notizia è stato unanime e feroce. La legge del taglione, particolarmente sui social, ha prontamente fatto nuovamente capolino, ma chi ha invocato la vendetta più atroce dimentica che viviamo in uno Stato di diritto, un paese che ha un sistema giuridico, anche se imperfetto.
Nel caso in specie, l’assassinio di un animale è punito con eccessiva indulgenza, e quindi il carnefice di Matteo non farà mai un solo giorno di galera. La legge per la quale i sedicenti animalisti che siedono sugli scranni del Parlamento italiano hanno esultato al momento della sua promulgazione, è iniqua ed anacronistica, non soltanto perché non ha voluto affrontare l’equa proporzione fra reato contro la persona e reato contro l’animale, ma anche perché, in caso di applicazione, comminerebbe pene tutt’altro che esemplari. Una legge dovrebbe servire, fra l’altro, a far desistere dal compiere un atto criminale, ed il famigerato articolo 544 bis del codice penale non può sortire questo effetto. La legge, infatti, stabilisce il limite di 24 mesi di reclusione per chi si macchia di un reato del genere. Due anni: ben al di sotto della soglia oltre la quale, generalmente, si finisce davvero in galera. Il settantenne priolese che ha ucciso Matteo dovrà affrontare il “fastidio” di un iter giudiziario che durerà diversi anni prima che si arrivi al verdetto, ma potrà continuare a dormire sonni tranquilli, beandosi di una legge che gli è amica. Lo sconcertante avvenimento di Priolo potrebbe diventare un’opportunità per puntare i fari verso una legge che BISOGNA cambiare.

C’è necessità di una nuova regolamentazione che marchi le differenze fra la vita umana e quella di un animale, in ragione del grado di civiltà che il popolo italiano possiede, una legge che stimoli questa coscienza anche in chi crede di possederla, ma che in realtà non ha. Una legge che sottolinei in maniera più profonda il principio del diritto alla vita tout-court. Chi, come l’assassino di Matteo, privo dei necessari strumenti di civiltà e degli elementari principii di pietas e carità verso chi è più debole, si trovasse nella vile condizione di infliggere ingiustificatamente sofferenze ad un animale (in ragione di una presunta superiorità che s’illude di vantare), dovrà anche sapere che le conseguenze del suo gesto sarebbero catastrofiche, ben diverse da quelle del semplice “fastidio” che un procedimento giudiziario può procurare. Solo in questo modo gli episodi si ridurrebbero drasticamente. Le prese di posizione sull’argomento da parte della cosiddetta società civile sono state varie, non tutte in linea con la misura di un popolo civile, e fra queste le minacce di morte prodotte a danno delle due avvocatesse che difenderanno il carnefice. Io so cosa vuol dire amare gli animali, io so la sofferenza che ha prodotto in me guardare le foto di Matteo con la carne a brandelli, io so che una parte di me vorrebbe trovarsi con l’assassino in una stanza chiusa a chiave, ma so anche che questa sarebbe una mera vendetta primitiva sprigionata dalle fiamme dell’odio che mi bruciano dentro.

Forse lo farei per me stesso, pur rivolgendo il pensiero a Matteo, e servirebbe, probabilmente, a ridurre la portata di quelle fiamme, ma a che servirebbe? E’ molto più produttivo trasformare le fiamme in energia, per una battaglia civile che costringa il parlamento ad approvare un disegno di legge più in linea con il sentimento popolare, più rispettoso verso gli animali e l’amore che per loro proviamo. Sono i giorni dell’ira e del disprezzo, sono i giorni delle reazioni incontrollate – è giusto – ma se vogliamo che Matteo e gli altri esseri senzienti maltrattati o uccisi non siano morti invano, ci toccherà fare uno sforzo per mantenere una soglia di credibilità dibattuale, mettendo in secondo piano i nostri sentimenti d’odio e puntando i riflettori sui Matteo di domani.

BRUNO FORMOSA